Testi: Dott Jacopo Ferrari - curatore del Museo Benedettino e Diocesano d’Arte Sacra
Il 16 settembre 2018 ha riaperto al culto la Basilica abbaziale di Nonantola (MO), gioiello di architettura romanica emiliana, che era stata gravemente danneggiata dal sisma del 2012. La storia di questo monumento comincia nel 752, anno di fondazione del cenobio benedettino ad opera di Sant’Anselmo, cognato del Re longobardo Astolfo. Dopo 4 anni il nascente Monastero ebbe in dono le reliquie di San Silvestro I Papa. Da allora la chiesa è sempre stata dedicata a questo Pontefice.
I monaci benedettini, che crebbero via via in numero fino ad arrivare a 850 unità nel IX secolo, diedero vita ad un luogo di spiritualità e cultura. L’Archivio abbaziale conserva ancora oggi più di 4500 pergamene datate dall’VIII secolo in poi. Luogo di incontro tra popoli e regnanti di ogni epoca, nell’Abbazia soggiornarono Lotario, Carlo il Grosso, Papa Marino e poi Papa Gregorio VII e Matilde di Canossa.
Oltre la basilica, una tappa della visita è da dedicare al tesoro abbaziale esposto nell’attiguo Museo Benedettino e Diocesano d'Arte Sacra che contiene una preziosa reliquia della Santa Croce e manufatti liturgici di pregevole fattura. Nella Basilica sono presenti un affresco ed un Crocifisso del XV sec. e nella cripta si possono ammirare i capitelli longobardi nonantolani risalenti all’VIII-XII sec. Importante fu anche legame dell’Abbazia col territorio circostante con la bonifica e la istituzione della “Partecipanza agraria” nel 1058, ancora in vigore. La Basilica abbaziale è oggi Concattedrale dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola e, grazie al dono di Papa Francesco, sta vivendo un anno giubilare, fino al 31 dicembre 2019, con la proposta di celebrazioni ed eventi culturali.
Varcato il portale, l’occhio rimane colpito dall’interno: una chiesa tutta di mattoni, maestosa e di grande semplicità. La basilica presenta la tipica struttura romanica a tre navate. Ben visibili sono i due livelli della struttura: il presbiterio, a cui si accede dalla scalinata centrale o dalle due laterali, e la cripta, posta sotto di esso. I possenti pilastri che dividono la navata centrale dalle laterali conducono lo sguardo verso il fondo della basilica e sembrano fiancheggiare il cammino verso l’altare maggiore, che rappresenta Cristo stesso, sul quale viene celebrato il sacramento dell’Eucarestia.
E’ la zona originariamente dedicata ad ospitare i celebranti. Degni di nota sono l’altare, la cattedra dell’abate e il grande crocifisso nell’arco trionfale: il Cristo ha gli occhi aperti, segno della sua vittoria sulla morte, ed è vestito con la dalmatica porpora ed oro, la veste liturgica propria del diacono, segno di Cristo servo: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Nella navata di destra, sull’altare, è collocato il tabernacolo.
In alcune murature della basilica, in particolare presso le porte che danno accesso alla cripta, si trovano fissati degli elementi scolpiti di epoca longobarda, probabilmente appartenenti alla precedente basilica, ritrovati grazie agli scavi eseguiti dal Manzini durante i restauri di inizio secolo.
L’altare maggiore è dedicato al patrono di Nonantola e santo a cui l’abbazia è intitolata, san Silvestro I papa, e in esso riposano le sue spoglie. L’opera è dello scultore di Varese Jacopo Silla de Longhi, che vi lavorò tra il 1568 ed il 1572, su commissione dell’abate commendatario Guido Ferreri. E’ quanto resta – dopo la parziale demolizione del 1913-1917 – dell’originaria arca di San Silvestro, commissionata per volontà testamentaria di Guido Pepoli e completata nel suo aspetto barocco nel 1634, grazie all'abate Barberini. L'arca era in origine composta su tre ordini: una semplice cassa con paraste, un'altra cassa con colonnine che conteneva il Tesoro dell'Abbazia ed infine, in alto, la tomba di San Silvestro con gli otto riquadri di Silla de' Longhi raffiguranti alcuni episodi della vita del santo.
L’ordine è il seguente: laterale sinistra – 3 anteriore – laterale destra – 3 posteriore
L’antico crocifisso, collocato su una croce di epoca settecentesca, in origine non era collocato sulle pareti della basilica ma si trovata inserito su di un basamento. Di grande espressione è il dolore che traspare dal volto sofferente di Cristo, che ha la testa reclinata su di un lato.
Appena entrati dal portale, sulla sinistra si trova il fonte battesimale: il primo dei sacramenti viene celebrato in una zona vicina al portale d’ingresso, essendo appunto il sacramento fontale, che dona la vita di Dio ed inserisce nella Chiesa. Risultato di una ricostruzione di inizio Novecento, il fonte è composto da una vasca sorretta da una colonna, circondata da un recinto di mattoni di forma ottagonale in cui sono inseriti frammenti di un fregio romanico, alcuni rilievi decorativi e una lapide che ricorda una sepoltura paleocristiana. La vasca battesimale è ricavata dal reimpiego di una fontana romana. Il fonte è di forma ottagonale. Il numero otto ha un significato salvifico: nell’arca, figura del battesimo e della Chiesa, si salvarono otto persone; otto sono le Beatitudini; inoltre, richiama l’ottavo giorno, cioè il giorno della Resurrezione, della nuova creazione operata da Dio nel Figlio. Ogni uomo, attraverso il battesimo, viene immerso nella Resurrezione di Cristo.
La raffigurazione si svolge su tre livelli: in alto, la Crocifissione con Maria e san Giovanni; al centro, l’Annunciazione; in basso da sinistra, i santi Martino, Gregorio Magno, Giovanni Evangelista, Giacomo, Silvestro I Papa, Antonio Abate e Giorgio. L'imponente affresco, già attribuito alla famiglia di pittori Degli Erri, è stato ricondotto in passato alla figura del Maestro della Pala dei Muratori e più recentemente all’ambito dei Canozi da Lendinara.
La cripta è una delle più vaste delle chiese romaniche europee. Può essere definita “un bosco di pietra” per la presenza delle 64 colonnine che ne scandiscono la superficie. Ogni capitello è diverso e se ne incontrano alcuni con animali, altri con figure geometriche, altri con motivi vegetali. Simbolicamente, 64 colonnine potrebbero indicare la perfezione, essendo 64 il quadrato di 8, numero della perfezione. I capitelli più antichi sono quelli attorno all’altare, classificati “longobardi nonantolani”. Da un punto di vista dell’architettura, essa, costruita nell’XI secolo, venne interrata ad inizio Quattrocento a causa di frequenti infiltrazioni d’acqua e riaperta solo con i restauri del 1913-17.
Solitamente collocate dentro all’altare della cripta, le reliquie dei sei santi nonantolani sono contenute entro ad una teca di cristallo e bronzo realizzata negli anni Novanta: sono quelle di Anselmo, fondatore e primo abate del monastero, Adriano III papa, morto nell’884 poco distante da Nonantola durante un viaggio da Roma verso Worms, Senesio e Teopompo martiri, uccisi nel 304 in Turchia durante una persecuzione di Diocleziano contro i cristiani, Fosca ed Anseride vergini.
La facciata attuale è il risultato dei restauri effettuati a inizio Novecento, voluti dall’arcivescovo Natale Bruni e diretti dal canonico Ferdinando Manzini. Edificata nell’XI secolo, la facciata – e più in generale tutta la basilica – venne alterata alla fine del XVII secolo, durante l’abbaziato del cardinale Albani, assumendo un aspetto barocco. Osservando il colore delle pietre della facciata, si riconoscono alcune tracce della chiesa barocca che con i restauri novecenteschi furono eliminate per riportare la basilica all’architettura romanica, specialmente le due porte che davano accesso alle navate laterali e le finestre circolari che sostituirono la bifora. La facciata, che oggi si presenta a salienti, in età barocca era “a capanna”.
Il protiro sporgente incornicia il portale scolpito, con la lunetta e le formelle degli stipiti. Poggia su due leoni stilofori, per mezzo di due appoggi, uno di forma circolare e l’altro di forma quadrata: questi simboleggiano le due nature di Cristo, rispettivamente quella divina e quella umana. Il leone accovacciato è il Signore Risorto e la preda tra le sue zampe è la morte, che da lui è stata vinta. Inoltre il leone-Cristo è raffigurato come sostegno delle colonne: è il risorto che sostiene la sua Chiesa e l’intera vita dei credenti nello scorrere del tempo. La lunetta, attribuita con certezza a Wiligelmo, ci mostra Dio in trono, in atto benedicente, affiancato da due angeli e circondato dalle tradizionali raffigurazioni iconografiche dei quattro evangelisti (leone Marco, angelo Matteo, aquila Giovanni, bue Luca). Sotto alla lunetta, troviamo l’architrave: una spaccatura al centro è accompagnata da un’iscrizione latina:
Le alte volte del tempio crollarono nel millecentodiciassettesimo anno dalla nascita del Redentore e quattro anni dopo si cominciò a ricostruirle
Si fa riferimento ad un violento terremoto che nel 1117 sconvolse la Pianura Padana.
Le formelle degli stipiti ci mostrano alcuni episodi scolpiti su pietra. Sulla sinistra trova spazio il racconto della fondazione e dei primi secoli della vita del monastero, in particolare il culto dei santi venerati in basilica, mentre sulla destra si identificano gli episodi della natività e dell’infanzia di Cristo. Si può individuare un cammino parallelo tra i due stipiti. Gli episodi della storia delle origini dell’abbazia sono un esempio di quella salvezza celebrata nello stipite destro con il ciclo della nascita di Gesù.
Sul retro della basilica si possono ammirare le imponenti absidi, sublime esempio dell’architettura romanica, scandite da lesene, semicolonne, bifore, monofore ed archetti pensili. Di grande bellezza, sono state impreziosite dalla recente ricollocazione (gennaio 2018) di 22 bacini in terracotta smaltata e graffita, avvicinando così l’aspetto delle absidi a quello medievale. Il progetto di ripristino dei bacini, autorizzato dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, è si è configurato come una nuova creazione al cantiere di ripristino del danno causato dal sisma del maggio 2012 ed è partito dall’analisi dei tre bacini in ceramica bizantina del XII secolo, alcuni frammentari, ancora esistenti e conservati nelle sale del museo diocesano.
L’attuale giardino abbaziale è il luogo in cui nel medioevo era ospitato l’antico chiostro monastico. Oggi possiamo vedere quello che resta del chiostro addossato al fianco meridionale della basilica: una costruzione a due livelli, trecentesca nella parte inferiore, quattrocentesca in quella superiore. Oltre al chiostro, sorgevano qui gli orti, la zona del cimitero dei monaci (dietro alle absidi), alcune officine, ipotesi avvalorata anche dal recente ritrovamento di una fornace, emersa durante le campagne di scavi condotte dall’Università Cà Foscari di Venezia, ed anche probabilmente lo scriptorium monastico.