La Basilica di San Savino, così come la vediamo oggi è frutto della riforma voluta da Mons. Giambattista Scalabrini e diretta dall’Ing. Ettore Martini il quale ha lavorato per ridarle la configurazione romanica così come doveva essere fin dal principio. Ma procediamo per gradi. Il Vescovo Savino (376-420), succeduto al primo Vescovo di Piacenza, Vittore, fece costruire (394) una chiesa dedicata ai 12 Apostoli alle “Mose” sull’asse viario che da Piacenza va a Roma, fuori dalle mura che al tempo racchiudevano il “castrum”. Il termine “Mose”, in latino, significa palude ha portato a credere che fosse costruita nella località che ancor oggi si chiama “Le Mose”, ma quasi sicuramente invece si trattava dell’area cimiteriale situata proprio dove ancor oggi sorge la Basilica. Savino fu un grande amico di Sant’Ambrogio di Milano che lo ricorda nelle sue lettere come il revisore dei suoi scritti teologici, in effetti Savino era un teologo conosciuto a quei tempi per aver partecipato al Concilio Romano per comporre lo scisma d’Oriente sorto per la nomina di Paolino a Vescovo di Antiochia al posto di San Melezio legittimo pastore (372). Interviene insieme ad Ambrogio al Concilio di Aquileia (381). E’ ricordato anche per il “miracolo del Po” ricordato nei Dialoghi di San Gregorio Magno (Papa dal 590 al 604), nel libro III che consiste nell’aver fatto rientrare le acque del fiume che avevano allagato parte della città di Piacenza. Soprattutto è ricordato per il ritrovamento della tomba e quindi delle reliquie di Sant’Antonino (388) che depone nella stessa urna, con una divisoria, in cui venivano custodite i resti mortali di San Vittore. Organizzò la vita religiosa della giovane comunità cristiana piacentina adottandola di una liturgia propria che rimase in vigore fino al Concilio di Trento.
Il successore di San Savino, San Mauro i cui resti mortali si trovano nell’urna posta nell’abside minore della basilica, fece seppellire (420) San Savino nella cripta della chiesa dei 12 Apostoli che poi passò a chiamarsi chiesa di San Savino. Sembra che tutto abbia proceduto normalmente fino al 902 quando gli Ungari, la distrussero in parte; nel 903 il Vescovo Everardo la fece riedificare ma nel 924, ancora gli Ungari in un’altra razzia la rasero al suolo. Nell’anno 1000, il Vescovo Sigifredo riedificò sul luogo ove sorgeva quella distrutta dai barbari, l’attuale Basilica che venne consacrata il 10 ottobre 1103 dal Vescovo Aldo.
Di questo periodo sono i mosaici della cripta raffiguranti i 12 mesi dell’anno, i simboli zodiacali e le attività agricole; il mosaico posto nel presbiterio (riemersi nel 1902 duranti i lavori di restauro) che rappresenta al centro il Signore del Tempo – Cristo Alfa e Omega – che tiene tra le mani il sole e la luna; nei quattro riquadri, due a destra e due a sinistra, le Virtù Cardinali: la Giustizia – rex judex, la Prudenza – la partita a scacchi, la Fortezza – i due soldati, la Temperanza – personaggi con in mano un bicchiere; dello stesso periodo è il crocifisso ligneo che si può ammirare sull’altare maggiore.
L’altare che possiamo ammirare nella cripta è del 1481, ha contenuto le reliquie del Santo e ha avuto diverse vicende essendo trasferito nel 1707 nel presbiterio superiore e la cripta viene riempita di detriti ed anche i mosaici vengono sepolti. E’ proprio di questo periodo che Basilica subisce una trasformazione radicale passando dal nativo stile romanico alla configurazione barocca. Furono demoliti l’absidi maggiore (1631) e quello della navata sinistra (per chi guarda l’altare); furono sfondate le pari laterali (1650) e costruite altrettante cappelle – l’unica rimasta è quella che oggi ospita la Madonna delle Grazie (Medaglia miracolosa); furono modificate le finestre che da ogiva romanica passarono ad essere maggiori e rettangolari; fu impostato un cornicione all’altezza dei capitelli del presbiterio che circondava tutta la costruzione; fu adornata di stucchi ed ogni arcata fu configurata per onorare il Padre, il Figlio e lo Spirito santo; venne ricoperta la facciata romanica e posta l’attuale facciata della Basilica per opera del capomastro Francesco Tramelli.
Fu abbattuta la parete in cui attualmente si trova il grande rosone e la sala sopra il pronao servi come ricettacolo dell’organo posto in funzione nel 1689. Nel 1721 viene realizzata e posta la cancellata in ferro battuto realizzata da Paolo Maria Nibbio, che ancor oggi delimita il pronao della Basilica. Nel 1731 viene posto nel presbiterio l’attuale altare barocco, progettato dall’architetto Alessandro Reni, nella cui urna sottostante sono custodite le reliquie di San Savino che periodicamente sono state “riconosciute” tramite processi compiuti dai Vescovi alla presenza dei notai che hanno redatto i debiti verbali, le ultime sono di Mons. Scalabrini (1880) e Mons. Umberto Malchiodi (1956). Come accennato all’inizio Mons. Scalabrini, amante dell’arte e soprattutto del romanico,all’inizio del 1900, chiese al parroco Don Pio Cassinari di dar inizio alle riforme per riportare la Basilica allo stato originale. L’Ing. Ettore Martini presiedette i lavori. 1350 è la data riportata da un affresco rinvenuto durante i restauri del 1900 quando si voleva riportare la facciata allo stile romanico coperto dalla sovrastruttura barocca. Attualmente quegli affreschi che impreziosivano la facciata si trovano riportati su supporti nel presbiterio: una parte dell’Annunciazione e una Vergine col Bambino e santa. Sempre nel presbiterio è stato incastonato al tempo della ristrutturazione un tabernacolo datato 1510.
Nel 1926 la bottega del ferro di Ferruccio Tansini (1877-1957) realizzò in ferro battuto, la “Croce bizantina” originariamente posta nel catino dell’abside ed ora all’inizio della navata di destra (per chi entra in chiesa). Questo artigiano ha progettato e realizzato le balaustre (3) e 3 inginocchiatoi in ferro battuto, come pure la cancellata che sovrasta la scalinata che porta alla cripta. La detta scuola ha realizzato una serie di lampadari che per tanti anni hanno adornato le arcate (due di essi ora sono istallati nelle sacrestie) come pure due grandi candelieri per l’altare maggiore e due portalampade del Santissimo.
Nell’ottobre del 2006 avviene il restauro della cupola della cappella della Medaglia Miracolosa. Restauratrice la sig.ra Lucia Bravi; ha diretto i lavori l’architetto Carlo Beltrami sotto la tutela della Soprintendenza di Parma. Quattro scene bibliche: il sacrificio di Isacco, Mosè salvato dalle acque, Mosè davanti al roveto ardente, Mosè che presenta il capretto per il sacrificio pasquale. I dipinti sono attribuiti a Giovanni Evangelista Draghi (1657-1712). Probabilmente la Cappella fu dedicata alla Madonna della Medaglia miracolosa alla fine del XIX secolo che la salvò dall’eliminazione come avvenne per le altre cappelle.