Vigolo Marchese è un piccolo borgo del comune di Castell’Arquato situato sulla sponda del torrente Chiavenna, all’altezza in cui la pianura padana comincia ad ondularsi di belle colline ricoperte di vigneti. Su questo sfondo bucolico sorge un complesso romanico di notevole rilevanza, chiesa e battistero risalgono infatti all’inizio dell’XI secolo. Il nome Vigolo (o Vicolo) è diminutivo di vicus, villaggio. Quanto al “Marchese”, viene dal fondatore, Oberto II (975-1014), della potente famiglia Obertenga da cui derivarono gli Estensi, i Pallavicino e i Malaspina. Citato infatti anche come “marchese d’Orta in Toscana”, Oberto fondò nel 1008 il monastero benedettino di Vigolo dedicato a S. Giovanni Battista con annesso una chiesa ed un “hospitale”, ossia un ospizio per i pellegrini incamminati sulla via franchigena. Qualche anno dopo, per attribuire maggior prestigio al monastero, Oberto donò alla chiesa di Vigolo le reliquie di sant’Ippolito martire ed ottenne che fosse posto sotto la diretta giurisdizione della Santa Sede. Di questo si può trovare conferma in una bolla di papa Innocenzo III, datata 1135, in cui si parla della chiesa di S. Giovanni di Vigolo come appartenente al Patrimonio di San Pietro. Nel 1029 il marchese Ugo, figlio di Oberto, residente a Vigolo, comprò dal canonico Gherardo, “figlio di Genesio di Nazione Longobarda e diacono della plebe di S. Martino d’Ilio”, centoventimila pertiche di terreni posti in territori del pavese, del parmigiano, del cremonese e del piacentino e comprendenti anche vari castelli, chiese ed altri edifici: “Le Terre e Castella di Port’albera, di Montanino, della Stradella, di Borgo S. Donnino, di Casal Maggiore, di Soragna, e d’altre grosse tenute in varij luoghi d’Italia”. Nel 1038 sorgeva la contesa tra Leone, abate del monastero, e Adelaide, badessa di S. Sisto, per l’assegnazione di un terreno e di diritti d’acque; nello stesso anno Ugo si trasferisce a Piacenza facendo diverse donazioni ai canonici della Cattedrale. Ulteriori notizie le ritroviamo intorno al 1053, quando Oberto Obizio con il figlio Alberto, rispettivamente il figlio e il nipote di Oberto II, vincolano le donazioni del fondatore al monastero, ingiungendo all’abate Benedetto e ai suoi successori di non alienare i beni e di destinare una parte delle rendite alle spese per i pellegrini. L’importanza del monastero crebbe a tal punto che diverse chiese vi si assoggettarono; ma il periodo aureo della sua storia cominciava già a dar segni di cedimento. Segni che in breve tempo divennero realtà.
Una bolla papale del 1135 ci testimonia infatti un certo stato di dissesto e di rovina del monastero legato verosimilmente agli esiti delle accanite lotte per le investiture di cui l’Italia e il suolo piacentino, in questo caso, furono teatro e che molto probabilmente portarono all’abbandono da parte dei monaci dell’insediamento stesso. In questa bolla datata 7 giugno 1135 papa Innocenzo II accoglie la richiesta dei canonici e del prevosto della Cattedrale di Piacenza concedendo loro il beneficio di Vigolo in commenda. Dopo aver documentato la grave situazione in cui versa il monastero, il Papa, confidando nello zelo del Capitolo della Cattedrale piacentina, ordina di recuperare i beni dispersi, di conservarli e di far sì che i monaci tornino ad officiare quotidianamente. Se tali disposizioni non fossero state rispettate, aggiunge la bolla, il monastero con tutti i suoi possedimenti sarebbero ritornati sottola giurisdizione diretta della Santa Sede. Il Prevosto era altresì tenuto a versare al palazzo Lateranense un censo annuo di mezza oncia d’oro. La fedeltà e l’appoggio della chiesa piacentina alla Sede Apostolica nella lotta contro il Barbarossa durante, fu tale che il 27 settembre 1162 mediante una bolla, Papa Alessandro III ridusse la tassa pattuita da Innocenzo II a soli due monachini. Poche sono le notizie del periodo seguente e del destino del monastero stesso. I pochi documenti attestano la presenza di una prevostura, con un collegio di undici canonici, quindici prebendari e un prevosto. Nel 1260 era prevosto di Vigolo un certo Umberto Fontana, futuro vescovo di Brescia. L’intero complesso architettonico visse anni difficili all’inizio del ‘300 quando Alberto Scotti, signore di Piacenza dal 1290 al 1304, scacciato dalla sua città, dopo aver occupato con le sue truppe, nel 1310, il borgo di Castell’Arquato, con la cavalleria raggiunse Vigolo Marchese, mettendolo a ferro e a fuoco. Le fiamme non risparmiarono neppure il convento e la torre campanaria dalla quale caddero le campane. Ma le disavventure non terminarono qui, infatti, quando ancora le riparazioni non erano state ancora ultimate, fu la volta di Galeazzo Visconti nel 1315 a incendiare nuovamente con le sue truppe la chiesa e lo stesso convento. Nel 1338 è prevosto di Vigolo, Rogerio Caccia, futuro Vescovo di Piacenza e attivo mecenate artistico della città, di cui ricordiamo l’edificazione del portico del paradiso della chiesa di S. Antonino e della cuspide sul campanile del Duomo. Dopo questi aventi mancano documenti su Vigolo Marchese per circa due secoli.