Testo: Dott.ssa Giulia Spoltore - Archivio del Moderno (Università della Svizzera italiana)
All’interno della mostra Le «invenzioni di tante opere». Domenico Fontana (1543-1607) e i suoi cantieri (Rancate, Pinacoteca Giovanni Züst 27 novembre 2022- 19 febbraio 2023) la sfida, ma anche l’ambizione più grande affrontata dai curatori Nicola Navone, Letizia Tedeschi e Patrizia Tosini è stata certamente portare i cantieri che Domenico aveva inaugurato e compiuto a Roma e Napoli in Ticino, con la ferma volontà di dispiegare di fronte allo spettatore i processi creativi e le interazioni tra le diverse arti. Proprio quest’ultimo aspetto, fondamentale per una più profonda comprensione dello spazio concepito dall’architetto melidese e cuore pulsante della narrazione sul cantiere, ha spinto l’organizzazione scientifica a rivolgersi alla tecnologia immersiva come soluzione possibile per portare le testimonianze romane e regnicole a Rancate.
Grazie ad un finanziamento del Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica (SNSF Agora Project CRAGP1_199500 The «invention of many works». Domenico Fontana (1543-1607) and his buildings works) l’Archivio del Moderno, promotore scientifico dell’iniziativa, ha potuto realizzare le riprese immersive e i progetti multimediali fruiti all’interno della mostra. [1]
La mostra è stato definita da altri «un esempio virtuoso dell’uso del digitale»[2] proprio perché tale uso scaturisce da una comprovata esigenza espositiva, e sfrutta il digitale per proporre in maniera efficace una narrazione ampliata funzionale ad esporre le dinamiche di cantiere, raccontando l’apporto delle singole maestranze senza perdere la visione di insieme.
Le riprese immersive sono state progettate in sinergia con Marco Stucchi e sono state coordinate dal comitato scientifico che ha seguito le riprese e le loro elaborazioni.
Proprio questa sinergia tra operatori e ricerca scientifica[3] ha consentito di offrire ai fruitori della mostra, in modo scientificamente orientato e con solidi apparati didattici, i cantieri che altrimenti sarebbero stati evocati solo indirettamente.
Il pontificato sistino segnò per l’architetto Domenico Fontana (Melide 1547 – Napoli 1612) un momento di grande ascesa nella Roma di fine Cinquecento. Papa Sisto V (1585-1590), al secolo Felice Peretti, commissionò all’architetto ticinese nel lustro del suo pontificato un numero cospicuo di lavori.
Tra i più significativi si segnalano il compimento della cappella con il monumento funebre del papa nella basilica pontificale di Santa Maria Maggiore e il riallestimento della zona del Laterano, sede del vescovo di Roma.
Nel 1581, ancora prima della sua elezione al soglio pontificale, il cardinale Felice Peretti andava organizzando la celebrazione del suo casato preparandosi ad erigere la sua cappella funebre nella navata settentrionale della basilica di Santa Maria Maggiore. Nel gennaio 1585, poco prima che il Peretti divenisse papa, l’architetto melidese avviò il cantiere per avviare i lavori della cappella. È questa una delle opere maggiormente rappresentative dell’architettura di Domenico Fontana dove lo spazio è concepito in una visione integrata di architettura e decorazione. Domenico impiegò la sua équipe nei lavori di muratura e gli stucchi che strutturano l’edificio, dando corpo alle cornici dei partimenti e alle figure che popolano pareti, volte e la cupola. Coordinò la squadra di scalpellini che fornì il travertino per capitelli e le trabeazioni, i marmi colorati per il pavimento, le pareti e le due tombe dedicate l’una al committente e l’altra a papa Pio V Ghisleri, grazie al quale Sisto V era stato elevato alla porpora cardinalizia. Le tombe a parete sono organizzate su tre ordini e sono ornate da statue e rilievi istoriati eseguiti dai migliori scultori attivi a Roma, tra cui Leonardo Sormani e Giovanni Antonio Paracca. La decorazione pittorica spettò a un gruppo di pittori diretti da Cesare Nebbia e Giovanni Guerra che affrescarono e indorarono l’intero vano e le cappelline annesse.
Focus centrale della cappella è il tabernacolo al di sotto del quale vi è la cripta in cui Domenico traslò l’antica cappella del Presepe, che trae il nome dal celeberrimo gruppo scultoreo di Arnolfo di Cambio, e che ricorda la venerata reliquia della greppia conservata nella basilica.
Il tabernacolo, il primo a Roma ad essere concepito seguendo i dettami postridentini, è un’architettura a pianta centrale posta al di sotto della cupola, ornata da rilievi e statuine in bronzo dorato, pietre pregiate, vetri colorati. L’opera di finissima concezione è sorretta da quattro angeli reggitorcia “al naturale” di Bastiano Torrigiani che incedono in processione verso il riguardante.
Sopra, alcuni screenshot del progetto multimediale della Cappella Sistina in Santa Maria Maggiore ripresi direttamente dai monitor touch screen collocati in mostra
All’epoca delle demolizioni fontaniane e del susseguente riassetto, l’antico patriarchio lateranense mostrava una facies frutto di una serie di stratificazioni che si erano susseguite in età medioevale. Nei lavori di sistemazione Fontana isolò e trasformò l’antico Sancta Sanctorum, cappella deposito di una venerata immagine acheropita del volto del Salvatore, arricchendola con la reliquia della Scala Pretorii, sinora conservata nella zona antistante. La preziosa reliquia, una serie di gradini di marmo, che la tradizione vuole esser stati percorsi da Gesù per andare a giudizio, si univa ad una delle testimonianze più venerate della Roma medioevale dando vita ad un nuovo santuario il cui scrigno fu progettato da Fontana assecondando le preesistenze. Il santuario presenta un prospetto a cinque campate, con arcate di accesso al portico (tamponate da Giovanni Azzurri nel 1853) si articola in una serie di ambienti che accompagnano il pellegrino in un percorso devozionale a partire dalla scala centrale funzionale per l’ascesa e percorribile solo in ginocchio verso il Sancta Sanctorum, quest’ultimo al piano superiore venne affiancato da due cappelle laterali. La scala centrale si accompagna a quattro scale laterali per la discesa. Ad affrescare i corridori vennero chiamati Giovanni Guerra e Cesare Nebbia, già attivi nei cantieri di Domenico, che, con le loro équipe di pittori, decorarono l’intero invaso con un’organizzazione del cantiere che mirava ad un’ottimizzazione del lavoro in termini di tempo e uniformità dell’insieme. Dal 1587 al 1589 la decorazione impegnò circa quaranta maestranze – tra pittori e decoratori – sui ponteggi e solo al termine della campagna decorativa fu posata la reliquia della scala in solenne processione. La rampa centrale fu affrescata con scene tratte dal nuovo testamento e nello specifico dalle storie della passione, mentre nei corridori laterali adiacenti si dispiega la narrazione di episodi tratti dall’antico testamento. L’articolato progetto iconografico fu ideato in collaborazione con teologi ed eruditi della corte papale ed una parte la ebbe certamente l’agostiniano Angelo Rocca, presso le cui collezioni si conserva ancora un foglio con lo schema complessivo della decorazione.
Sopra, alcuni screenshot del progetto multimediale della Scala Santa ripresi direttamente dai monitor touch screen collocati in mostra
[1] Le riprese sono state realizzate grazie alla collaborazione con APSA, il Capitolo di Santa Maria Maggiore, Congregazione dei Passionisti, Diocesi di Salerno.
[2] M. Romeri, Fontana. Coralità sistina ovvero l’arte di dirigere i cantieri, in Alias (Il Manifesto), 22 gennaio 2023, p. 11.
[3] Hanno contribuito all’elaborazione degli hotspot e alla redazione dei testi i proff. Mauro Vincenzo Fontana e Serena Quagliaroli, le dott.sse Giulia Spoltore e Chiara Violini.