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Piemonte di stucco

Alle origini della grande decorazione

Mostra digitale a cura di Corinna Garau, Serena Quagliaroli e Massimo Romeri

Lo stucco è stato a lungo trascurato perché ritenuto secondario e inferiore alla pittura o alla scultura, causando incuria e portando in diversi casi a operazioni di completa distruzione e rimozione. Ma quella dello stucco è una tecnica millenaria, che origina nel mondo romano e rifiorisce nel Rinascimento, per raggiungere i suoi esiti più alti in Età Barocca. 
Il Piemonte è un territorio ricco di testimonianze per il tardo Seicento e per il Settecento, con le sue innumerevoli chiese, i raffinati palazzi e le sontuose residenze sabaude, mentre di cicli decorativi in stucco del tardo XVI e dell’inizio del XVII secolo sono più spesso le fonti scritte a darci testimonianza, trattandosi di complessi in larga parte perduti. A fare eccezione sono due luoghi poco noti, ma stupefacenti per la qualità della decorazione: la Cappella dei Palazzi di Vicolungo, a pochi chilometri da Novara, e la Certosa di Pesio, immersa tra le prime alture della montagna cuneese. 
Certamente più conosciuto è il Castello del Valentino, con la sua vivace decorazione a stucco che impreziosisce sala dopo sala il piano nobile, cantiere di studio per ricostruire la presenza, l’attività e il funzionamento delle botteghe delle maestranze provenienti dai territori degli odierni Canton Ticino e Lombardia che dominarono l’arte dello stucco in Età Moderna.
Tre magnifici siti da scoprire, preziose testimonianze di una tecnica che ebbe fortuna in tutta Europa.

Questa mostra didattica digitale è stata realizzata nell’ambito delle attività di studio e ricerca del progetto ERASMUS+ Stucco Decoration Across Europe. An Interdisciplinary Approach to Study, Scientific Investigation and Preservation for Transmitting Our Cultural Heritage to Future Generations (STUDEC), dall’unità di ricerca dell’Università degli Studi di Torino, di cui è responsabile Serena Quagliaroli.

Un sentito ringraziamento al Comune di Vicolungo e a Marzia Vincenzi ed Elena Rame; ai Missionari della Consolata, in particolare a padre Ermanno Savarino; al Politecnico di Torino nelle persone del Rettore Stefano Corgnati e di Andrea Longhi, referente per la gestione strategica e pianificazione manutentivo-conservativa del Castello del Valentino; alla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana con i colleghi Giacinta Jean e Alberto Felici; al Centro di Conservazione e Restauro La Venaria Reale.

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La Cappella dei Palazzi

Nel piccolo paese di Vicolungo, nella provincia di Novara, tra gli edifici che compongono un antico complesso denominato “dei Palazzi”, si trova la chiesa di Santa Maria delle Grazie. Attraverso un’apertura sulla parete destra della navata si accede alla Cappella Gritta, nata per conservare la Madonna della Misericordia, un’opera devozionale affrescata verso la fine del Quattrocento da Tommaso Cagnola, un artista che, con la sua ampia bottega, godette di grande fortuna nel Novarese.

Attorno alla venerata immagine mariana si sviluppa un ricco apparato decorativo a stucco e terracotta realizzato nell’ultimo decennio del XVI secolo da Giovanni Battista Panigate e dalla sua bottega. I Panigate erano una famiglia di plasticatori originari di Milano ma attivi nel novarese. Nel 1602 Giovanni Francesco, che collaborava con il fratello in molti cantieri, ricevette dai Gritta 285 lire per le opere realizzate da Giovan Battista, ormai defunto, proprio nella Cappella dei Palazzi.
Gli stuccatori guidati da Panigate incrostarono le pareti e la volta della cappella con spiccatissimi putti, angeli e arpie, accompagnati da carnosi fiori, ricchi racemi, cammei e protomi leonine.
Lo schema compositivo della decorazione plastica di Vicolungo sembra avere un’origine milanese, ritrovando infatti consonanze con numerose cappelle lombarde (si confronti ad esempio con la Cappella di Sant’Antonio nella chiesa di Sant’Angelo a Milano), dove la volta appare affollata di telamoni in atto di sorreggere un clipeo centrale.

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La Certosa di Pesio

Fondata nel 1173 a seguito della donazione del terreno su cui sorge da parte dei signori di Morozzo, la Certosa di Pesio è una delle più antiche d’Italia. La struttura medievale è stata rimaneggiata e ampliata nel corso dei secoli portando all’odierno complesso architettonico in cui le stratificazioni storiche convivono armoniosamente. L’attuale chiesa, dedicata alla Madonna Assunta, fu edificata verso la fine del Cinquecento. Il cantiere decorativo della zona absidale, invece, prese avvio solo nel 1610: l’austera struttura fu animata dagli affreschi di Antonio Parentani, che dipinse le Storie di Maria, gli evangelisti, i dottori della Chiesa e le tre virtù teologali. La pittura murale, di stampo ancora tardo manierista, è intervallata da stucchi bianchi e dorati, attribuiti alla bottega di Bartolomeo Rusca, un artista proveniente dallo Stato di Lugano. Le vivaci soluzioni adottate dal plasticatore rimandano alla composizione di molte cappelle milanesi, alla Cappella dei Palazzi a Vicolungo e al gusto sperimentato nella perduta Grande Galleria di Carlo Emanuele I a Torino. In quest’ultimo maestoso cantiere, Rusca dovette conoscere Antonio Parentani, dando inizio al sodalizio artistico che culminò proprio a Pesio.

La decorazione delle volte della navata fu invece affidata nel 1655 a Giovanni Claret, pittore di origine fiamminga, che vi lavorò fino al 1662. Differentemente dal cantiere precedente, Claret scelse di simulare la decorazione plastica tramite la pittura: realizzò dei finti stucchi che si stagliano su uno sfondo azzurro, con la chiara volontà di creare un dialogo con le decorazioni del primo decennio del secolo.

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La Sala dei Gigli al Castello del Valentino

Edificato sulla riva sinistra del fiume Po, il Castello del Valentino fu uno dei centri nevralgici della diffusione della decorazione a stucco in Piemonte. L’edificio fu acquistato da Emanuele Filiberto di Savoia, ma conobbe il suo massimo splendore grazie a Cristina di Francia, sposa di Vittorio Amedeo I, che nel 1619 ricevette il castello come dono di nozze e lo trasformò in una maison de plaisance, quindi luogo di feste, spettacoli e ozio, ma anche porta d’ingresso alla città per ambasciatori e notabili stranieri.

Il raffinato programma iconografico delle sale, ideato dal conte Filippo Maria d’Agliè, molto vicino a Madama Reale, è una glorificazione dell’amore, ma anche dei piaceri della villa e, nelle sale di nord-est, dei doveri legati alla reggenza dello Stato. Alla morte di Vittorio Amedeo, avvenuta nel 1637, seguì la guerra civile detta “dei cognati”, combattuta per la reggenza dello Stato sabaudo tra i sostenitori di Cristina e quelli del cognato Tommaso di Savoia-Carignano. Isidoro Bianchi e i suoi figli Francesco e Pompeo, responsabili fino a quel momento sia degli affreschi che degli stucchi del Castello, furono costretti ad abbandonare la città.
I lavori di decorazione ripresero nel 1642 dopo la firma del trattato di pace, ma i Bianchi passarono il testimone a un altro stuccatore di origine lombarda, Alessandro Casella, che completò l’appartamento sud-est e proseguì poi in quello speculare, in cui prevale però lo stucco bianco.

La Sala dei Gigli (il nome viene dal simbolo araldico di Cristina, ripetuto come un pattern in tutta la decorazione) si trova nell’appartamento di sud-est. La decorazione del soffitto si deve ai Bianchi, mentre le incorniciature delle porte sono realizzate da Casella nel 1646. La Sala dei Gigli rappresenta quindi un interessante punto di incontro e intersezione tra le diverse maestranze lombardo-ticinesi protagoniste della decorazione a stucco in Piemonte.

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