di Jacopo Ferrari
Sabato 24 febbraio alle ore 16 presso la Sala Verde del Palazzo Abbaziale di Nonantola è stato presentato il progetto “Dentro ai codici. Un viaggio interattivo tra le pagine miniate e le pergamene dell’Archivio Abbaziale”. Dopo i saluti istituzionali, interverranno il can. Riccardo Fangarezzi, la dott.ssa Giovanna Caselgrandi e il responsabile del progetto Marco Stucchi. Seguirà la visita al museo dove è stato installato il dispositivo.
di Marco Stucchi
Le proposte culturali oggi non possono rinunciare ad una efficace comunicazione che utilizza i media digitali e gli strumenti più innovativi. La tecnologia è messa al servizio del patrimonio culturale per creare nuove esperienze di apprendimento, offrire nuovi spunti di riflessione, fornire nuove forme di interpretazione. L’obbiettivo è quello di fornire una chiave di lettura innovativa, non convenzionale, ma al tempo stesso sempre ancorata su solide basi scientifiche.
Gli strumenti multimediali applicati al patrimonio culturale permettono di spaziare tra le molteplici discipline per raccontare il patrimonio archivistico custodito nell’Abbazia; il touch screen installato presso il Museo Diocesano di Nonantola è uno strumento innovativo dell’uomo moderno al servizio dell’uomo del passato che meglio ci aiuta a comprendere la nostra storia partendo dallo studio, dall’indagine e dalla conoscenza della storia passata.
Le innovazioni del sapere tecnologico e i loro effetti sulla proposta e sull’organizzazione della cultura diventeranno sempre più rapide ed incisive. È una grande opportunità da cogliere, che deve essere opportunamente pianificata e gestita per offrire al visitatore una proposta culturale del tutto innovativa e appagante. Il Museo Diocesano ha intrapreso questo percorso digitale per accrescere la propria visibilità ed aprirsi sempre di più ai visitatori e studiosi.
di Giovanna Caselgrandi
I tre codici esposti nelle sale del Tesoro Abbaziale nel Museo Diocesano costituiscono quanto rimane in loco del patrimonio dell’antica Biblioteca Abbaziale. Costituitasi già ai tempi della fondazione per volere di Sant’Anselmo, ha continuato ad arricchirsi mediante libri prodotti dallo scriptorium del monastero, oppure grazie ad acquisizioni provenienti dall’esterno. In epoca medievale i codici godevano di una altissima considerazione: essi erano visti come strumenti di sapere, avevano un reale valore economico, dato dalla rarità e dalla preziosità dei materiali di cui erano fatti, ed il lavoro impiegato per la loro realizzazione era considerato importante come la preghiera. Per questi motivi spesso essi erano oggetto di scambi.
Inoltre, in virtù della loro agevole trasportabilità, i libri erano i veicoli privilegiati per la diffusione di nozioni, idee ed immagini dando vita, in tale modo, ad un vivace scambio artistico e culturale nel passaggio da un centro monastico all’altro. Ovviamente le sorti dei volumi, ed anche delle biblioteche create per conservarli, erano intimamente connesse a quelle del cenobio di appartenenza, così che essi potevano rimanere ben custoditi nei momenti di stabilità e di ricchezza, mentre potevano essere dispersi o venire depredati nei momenti di crisi: un patrimonio librario ben conservato era un chiaro segno di potenza e di continuità nella vita di una comunità monastica.
Purtroppo l’antica biblioteca nonantolana, che aveva raggiunto oltre duecentocinquanta volumi, non esiste più, mentre esistono molti degli antichi codici che la componevano e che hanno ora diverse collocazioni (la maggior parte si trova a Roma presso la Biblioteca Apostolica Vaticana e Biblioteca Nazionale Centrale).
Oggi a Nonantola rimangono tre codici: sono l’Evangelistario di Matilde di Canossa (sec. XI-XII), L’Acta Sanctorum (sec. XI-XIII) e il Graduale o Cantatorio (sec. XI-XII). La salvezza dalla dispersione di questi tre soli codici dipende dal fatto di essere stati considerati vere “reliquie” o in quanto ritenuti posseduti da un Santo della comunità religiosa o in virtù della loro intrinseca preziosità. In conseguenza di ciò, essi sono stati conservati non in Biblioteca, come i rimanenti volumi, bensì tra i beni di Sagrestia come parte del Tesoro, secondo quanto attestato dagli antichi Inventari abbaziali ancora oggi conservati.
La loro importanza è dunque altissima per diversi fattori. In primo luogo, la loro varietà esornativa e di materiali che li compongono mostrano la grande ricchezza ed il prestigio di cui godette l’Abbazia nei secoli centrali del Medioevo. L’ornamentazione miniata ed i caratteri della scrittura, inoltre, fungono da elemento di paragone per potere individuare gli altri codici qui prodotti e poi dispersi. Quanto al contenuto, la presenza di un testo musicale attesta la complessità della liturgia, mentre le narrazioni agiografiche mostrano l’importanza del culto dei Santi locali per la vita del monastero. Ogni codice costituisce, pertanto, un’attestazione di inestimabile valore al fine di comprendere la vivacità intellettuale, la profondità di fede e l’amore per il sapere e per l’arte che ha caratterizzato, in generale, il Medioevo occidentale e, in particolare, il Medioevo a Nonantola.
Ultimo quarto dell’XI secolo (manoscritto) - XII secolo (legatura)
Manoscritto pergamenaceo
Legatura: assi di legno, lamina d’argento sbalzata parzialmente dorata (restauro 1988)
Dimensioni: cm 27 x 19,5
Il codice comprende 3 carte, 17 quaternioni seguiti da 7 carte. La rigatura è a secco, contrassegnata con duplice riga di inquadramento della specchiatura dello scritto, quest’ultimo realizzato in scrittura minuscola carolina. Vi sono iniziali di paragrafo ad inchiostro rosso, talvolta con interno suddiviso in settori policromi blu e oro, ravvivati da perline e nastri con terminazioni vegetali a piccole foglie. È presente un gruppo di dieci illustrazioni miniate con scene della vita di Cristo, tutte realizzate a piena pagina, con la sola eccezione dell’Adorazione dei Magi. Esse raffigurano: Natività e Annuncio ai pastori c. 3r; Adorazione dei Magi c. 9v; Presentazione al Tempio c. 15r; Crocifissione c. 24v; Ultima cena c. 37v; Deposizione dalla croce c. 45r; Visita delle pie donne al Sepolcro c. 45v; Discesa di Cristo agli Inferi c. 46r; Ascensione c. 60v; Pentecoste c. 63r. Il contenuto del testo è così strutturato: Evangelistarium carte 1r-118r; Benedictiones et orationes per circulum anni carte 118r-140r; Exultet carta 119v; Vere dignum carta 126v.
L’insieme delle miniature dell’Evangelistario è attribuibile a due distinti maestri coevi: l’uno si caratterizza per le figure che mostrano una severa rigidità nella resa dei panneggi costruiti mediante pieghe geometriche evidenziate da linee di colori dalle diverse tonalità, tutte vivaci e accostate per contrasto. I gesti sono enfatici e le mani, in forte evidenza, danno spazio all’espressione di sentimenti e stati d’animo. È il caso delle miniature della Natività, dell’Epifania, della Presentazione al tempio, dell’Ultima Cena, delle Donne al sepolcro, dell’Ascensione, della Pentecoste. L’altro maestro, esecutore di tre delle dieci miniature, ovvero della Crocifissione, della Deposizione e della Discesa agli Inferi, è legato a stilemi bizantini fusi con il locale linguaggio romanico padano
La legatura è composta da assi di legno rivestiti di lamine d’argento sbalzate e parzialmente dorate nei bordi e nelle figure.
Il piatto anteriore mostra Cristo benedicente che stringe nella mano sinistra un cartiglio arrotolato: la figura è seduta in trono, poggia i piedi su di un suppedaneo ed è incorniciata da una mandorla delimitata da una doppia fila di perle e foglie. Negli angoli vi sono i simboli degli Evangelisti. Il fondo presenta un motivo reticolato con maglie romboidali e puntini rilevati, attorno corre un bordo a palmette legate a goccia.
La medesima cornice che troviamo nel piatto anteriore, così come la stessa lavorazione del fondo, ornano il piatto posteriore occupato da una scena di Crocifissione con la Vergine, San Giovanni e due angeli a mezzo busto negli angoli superiori. La croce centrale è collocata sulla sommità del monte Calvario, la cui superficie rocciosa è suggerita da una serie di elementi ondulati realizzati anch’essi a sbalzo.
XI-XIII secolo (manoscritto) - XVIII secolo (legatura)
Manoscritto pergamenaceo
Legatura: assi di legno, pelle marrone (restauro 1959)
Dimensioni: cm 32 ´ 20,5
Nonantola, Tesoro dell’Abbazia, Museo Benedettino e Diocesano d’Arte Sacra
Il manoscritto comprende 5 unità codicologiche distinte, riunite nel corso del XVIII secolo in un volume unitario così strutturato: 1 quaternione numerato in alto al centro, 10 quaternioni numerati in cifre romane da I a X sul verso dell’ultimo foglio, 1 quaternione non numerato, 2 quaternioni con richiamo sul verso dell’ultimo foglio, 6 quaternioni non numerati, 3 fogli.
Il sistema illustrativo rimanda al repertorio nonantolano di ascendenza ottoniana della prima metà dell’XI secolo per le iniziali e gli incipit della Vita di Sant’Anselmo, di Sant’Adriano e di San Silvestro, mentre i capolettere delle agiografie dei Santi Sinesio e Teopompo si ricollegano all’apparato decorativo dell’Evangelistario ed alla tradizione del Monastero di San Benedetto Po.
Il contenuto del codice riveste un’importanza fondamentale nella storia dell’Abbazia dal momento che riunisce tutte le tradizioni agiografiche qui sviluppate a partire dal culto principale riservato a San Silvestro a cui si aggiungono, progressivamente, quelli degli altri Santi: il risultato è quello di un corpus agiografico completo e ben organizzato che è cresciuto nel tempo (Golinelli 2006, pp. 24-38). Il nucleo più antico, ascrivibile all’XI secolo, mostra l’intento di una sistemazione scritta di tradizioni orali che fino a quel momento non avevano ricevuto una trascrizione in documenti e codici.
La collocazione del testo della Donazione di Costantino dopo la Translatio Sancti Silvestri è riconducibile ad una precisa scelta che mira a mettere in relazione il Santo Pontefice che aveva ottenuto la donazione di beni alla Chiesa da parte dell’Imperatore Costantino, con le figure di Re Astolfo che elargì beni ad Anselmo per la fondazione del monastero nonantolano: il fine appare chiaramente quello di esaltare le regali origini longobarde del cenobio stesso.
Al ricco corpus agiografico, che comprende anche la Vita Anselmi Abbatis, la Vita Adriani, e la Translatio dei corpi dei Santi Sinesio e Teopompo, si aggiunge il Catalogo degli abati. Questo testo, strutturato come elenco, mira a dimostrare il buon governo degli abati di Nonantola nel loro ruolo di diretta dipendenza da Roma.
Fine XI secolo
Manoscritto pergamenaceo
Legatura: assi di legno, lamina d’argento, avorio, paste vitree colorate, pietre dure
Nonantola, Tesoro dell’Abbazia, Museo Benedettino e Diocesano d’Arte Sacra
Il codice è composto da 1 quaternione non numerato, 12 quaternioni numerati, 1 quaternione non numerato. La rigatura è a secco segnata a temperino, lo scritto è realizzato a lettere caroline; notazione neumatica nonantolana; indicazioni delle festività rubricate in carolina dello stesso modulo del testo. La presenza di questo codice presso l’Abbazia nonantolana è accertata a partire dal 1398 (data del più antico catalogo dei beni abbaziali che ne fa menzione). La sua permanenza in loco è attestata dagli inventari successivi e lo stesso Tiraboschi lo elenca tra i pochi oggetti rimasti a testimonianza dell’antico splendore di questo cenobio.
Esso, considerato parte integrante del Sacro Tesoro, costituisce una rara testimonianza della particolare tipologia di notazione neumatica che fu elaborata in questo monastero. Il manoscritto contiene le parole e la melodia dei canti per la messa che il solista intonava dall’ambone: un’iscrizione vergata alla c.1v ricorda, infatti, l’uso e il contenuto del codice, così come i nomi dei monaci che trascrissero il testo e decorarono col minio (rispettivamente i monaci Mauro e Silvestro): essi, inoltre, esprimono la speranza di una ricompensa celeste per il duro lavoro eseguito.
Il testo è caratterizzato da un ornato di semplici capitali calligrafiche rubricate con bottoncini e terminazioni gigliate. Unica lettera di grandi dimensioni è la iniziale U disegnata mediante racemi fogliati in inchiostro rosso con piccole campiture di colore blu (c. 2r). In generale il manoscritto si caratterizza per impaginazione, decoro e scrittura particolarmente eleganti e sobri.
La legatura è composta da due assi di legno sulle quali era applicata una sottile lamina d’argento sbalzata con fregi vegetali di cui si scorgono ancora frammenti lungo i bordi, corredata da otto castoni nel piatto anteriore e da altrettanti in quello posteriore, anch’essi d’argento, di forma quadrangolare ed ovale, che racchiudono paste vitree colorate e pietre (molte delle quali perdute).
Sul piatto anteriore, nella parte centrale, è incassata una lastra d’avorio che mostra, sotto un’arcata sostenuta da due capitelli lisci, un tralcio sinuoso con un ricco corredo di foglie dalle svariate forme. In alto, con funzione di cornice, sono ripetute quattro palmette dalle sottili nervature.
Il piatto posteriore presenta una composizione analoga, pur essendo la lastra d’avorio un po’ più piccola. Essa mostra la figura di San Gregorio Magno seduto sul faldistorio con i piedi sul suppedaneo che regge in mano il baculo in atteggiamento oratorio. È affiancato da un discepolo in atto di cantare che mostra nella mano destra un libro aperto; dall’alto scende in volo un angelo che suggerisce all’orecchio del Pontefice la melodia. Ai margini superiore ed inferiore una scritta in lettere capitali illustra la scena rappresentata: “Gr(egorius) docet istu(m) quo replet ang(e)l(u)s ipsum / Gr(egorius) dat alu(m)no flamine quod capit almo”.
Cenni storici
Nel 752 l'abate Anselmo, dopo essere stato duca del Friuli e monaco a Fanano, ricevette in dono dal cognato, il re longobardo Astolfo, le terre di Nonantola. Il monastero fu fondato e dotato per diventare subito molto potente ed essere centro irradiatore di cultura romana e cristiana, conformemente alle scelte di governo degli ultimi re longobardi.
Da allora in poi, la documentazione che attesta questi eventi e l’attività dei monaci andò progressivamente formando l’archivio dell’abbazia, ricco di oltre quattromilacinquecento pergamene e di materiale cartaceo per 262 metri circa di scaffalatura. Riportiamo alcuni dati attestati dalle antiche pergamene.
Tra i primi documenti, dopo alcuni di età longobarda, vari di quelli più rilevanti documentano lo stretto legame che i monaci ebbero con Carlo Magno e i suoi successori.
Tre pergamene provengono dalle mani di Carlo stesso e furono accolti dalle mani del santo primo abate Anselmo.
Il placito dell’801 conservato nell’archivio abbaziale riporta la prima volta in cui Carlo si sottoscrisse con il titolo di imperatore: era stato incoronato, com’è noto, la notte di Natale dell’800. Alle concessioni di beni e diritti, si unirono altri privilegi, concessi dai successori, non ultimo quello di eleggere autonomamente il proprio abate, anche se spesso disatteso.
L'abate Pietro, succeduto al fondatore S. Anselmo, fu ambasciatore a Costantinopoli con il vescovo Amalàrio di Treviri per l'imperatore Carlo Magno. Così il suo successore, l'abate Ansfrith, col vescovo Alitgàrio di Cambrai per l'imperatore Ludovico il Pio. Nell'837 il monastero ospitò l'imperatore Lotario, e nell'883 l'incontro tra l'imperatore Carlo il Grosso e papa Marino. Il legame con gli imperatori continuò anche dopo la cessazione della dinastia carolingia, specialmente nei secoli X-XII, spesso comportando la nomina ad abate di ecclesiastici molto vicini al sovrano.
Fu il periodo di maggiore potenza dell'abbazia, quando l'abate esercitò sui vastissimi possedimenti terrieri i pieni poteri signorili e spirituali. Le pergamene di quel periodo testimoniano soprattutto questa attività amministrativa e giurisdizionale. L’abate Damiano prese parte alla prima Crociata insieme ai grandi feudatari d’Occidente e l’abate Bonifacio alla terza.
Oltre ad avere relazioni religiose e culturali con i monasteri europei dell’epoca, l’Abbazia ebbe vaste proprietà in tutta l’Italia centro-settentrionale, il cui fine era di garantire l’approvvigionamento di tutte le merci necessarie al monastero e alla cittadina, ma che permise circolazione, scambi e conoscenze tra le diverse parti d’Italia. Le vie d’acqua e le strade, appositamente dotate di hospitali per i viandanti, ne furono le direttrici privilegiate. Anche questo trova preciso riscontro nei documenti nonantolani.
Va ricordato il legame con Costantinopoli, mantenuto, dopo le missioni diplomatiche dei suoi primi abati, tramite un priorato che Nonantola tenne nella capitale orientale fino a fine Trecento ed attestato, oltre che da alcune carte d’archivio, dalla tavoletta eburnea del Cantatorium (V-VI sec.?), dai preziosi tessuti recentemente ritrovati (VIII-IX sec.), dalla insigne Reliquia della S. Croce (reliquiario del X-XI sec.), dai frammenti di codice greco ora all’Archivio Storico Comunale (XII-XIII sec.).
Consistente è il numero di documenti relativi ai Canossa. Matilde assediò il monastero - che era di parte imperiale - e lo costrinse a passare dalla parte papale. Da allora in poi, i documenti che prima erano stati concessi dagli imperatori, provennero invece dai papi. Dalla fine del Duecento compaiono i primi documenti di carta, e vanno diminuendo quelli in pergamena.
Nel secondo medioevo, con la perdita del potere temporale, cessa questo tipo di documentazione, ma continua quella di amministrazione spirituale delle chiese sottoposte in un grande numero di località e anche di gestione economica, come già detto, tenendo però conto del fatto che la situazione generale comportò un grave indebolimento patrimoniale.
Dalla metà del Quattrocento il monastero viene costituito in commenda. Abati commendatari furono quasi sempre personaggi di primissimo piano della Curia Romana (Este, Ferreri, Rospigliosi, Albani, Barberini), spesso cardinali nipoti. I più celebri abati commendatari furono i cardinali Giuliano Della Rovere, poi papa Giulio II, e san Carlo Borromeo. I documenti nonantolani di questo periodo testimoniano quindi anche le vicende di queste personalità e delle famiglie papali dell’epoca.
L’Archivio Abbaziale venne sempre mantenuto a disposizione del vicario abbaziale, che se ne avvaleva per l’attività amministrativa per conto dell’abate commendatario. Per questo fu sempre custodito con ogni cura e periodicamente riordinato.
Nell’ultimo quarto del ‘900 l’Archivio, per l’intervento diretto dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola e tramite mons. Francesco Gavioli, è divenuto il propulsore di vaste iniziative culturali che hanno portato alla rifioritura dell’interesse storico grazie alla determinante collaborazione con il professor Vito Fumagalli e alla nascita di un autonomo Centro Studi Storici Nonantolani e delle sue collane di monografie storiche. Su questa base e con altri importanti apporti, negli anni del passaggio di millennio hanno potuto successivamente prendere vita un progetto Da Nonantola al sistema benedettino. L’Europa prima dell’Europa, il restauro generale del palazzo e della basilica abbaziale, la creazione del Museo Benedettino Diocesano di Arte Sacra, le Celebrazioni per il XII Centenario della morte di S. Anselmo e XVII dei SS. Sinesio e Teopompo costituite in Comitato Nazionale, e la Fondazione Ora et Labora.
Di tutte le pergamene è stata effettuata scansione informatica a colori e ad altra definizione. I documenti sono a disposizione per consultazione di ricercatori e studenti in giorni e orari regolari.
Sotto: Aquisgrana - 797, gennaio-giugno
Sotto: Roma - 1504, maggio 18 - Anno I di pontificato
Sotto: Ottinger (Baviera) - 879, agosto 11
Le PergameneBibliografia: G. Tiraboschi, Storia dell’augusta badia di S. Silvestro di Nonantola, tomi 1-2, Modena 1784-1785, t. I, pp. XI-XV e 1785, t. 2, pp. IX-XIII; C. Cesari, “Biblioteca e Archivio”, in ID., Nonantola. Saggio storico-artistico, Modena 1901, pp. 39-50; R. Fangarezzi, G. Marchesi, Nuovi documenti per la storia dell’Archivio Abbaziale di Nonantola tra XIII e XX secolo, in «Benedictina», 50 (2003), n. 1, pp. 86-135; R. Fangarezzi, L’Archivio Abbaziale di Nonantola, la Biblioteca e il Museo nell’ultimo decennio, in Vent’anni del Centro Studi Storici Nonantolani. Dalla fondazione alle nuove prospettive di ricerca. Atti della giornata di studio. Nonantola, 6 ottobre 2007, a cura di I. Ansaloni, G. Malaguti, Nonantola - Modena 2010, (Biblioteca 45), pp. 37-59; Chartae Latinae Antiquiores: Italy 10. Italia settentrionale. Cantù, Monza, Bergamo, Mantova, Verona, Belluno, Padova, Venezia, Modena, Nonantola, Ravenna, Rimini, a cura di J.-O. Tjader, F. Magistrale, G. Cavallo, Dietikon - Zurich 1993 (Chartae Latinae antiquiores 29); Italy 60. Modena, Nonantola 1, a cura di G. Feo, M. Modesti, M. Al Kalak, M. Mezzetti, Dietikon - Zurich 2008 (Chartae Latinae antiquiores 88); Italy 61. Nonantola 2, a cura di G. Feo, L. Iannacci, M. Modesti, Dietikon - Zurich 2009 (Chartae Latinae antiquiores 89)