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Le Grotte genovesi

Testo: Prof. Lauro Magnani - Università degli Studi di Genova

La mostra "Grotte e Giardini ai tempi di Rubens. "Delizie" e "meraviglia" a Genova all’alba del Seicento" vuole offrire al pubblico un particolare spaccato di vita aristocratica degli inizi del XVII secolo e ad un tempo attirare l’attenzione su un patrimonio eccezionale, le grotte artificiali dei giardini genovesi, proprio nel momento in cui la loro condizione di crisi ne rende impossibile la visita.

Lo spunto narrativo dell’iniziativa espositiva è offerto dalla presenza, nel luglio del 1607, del Duca di Mantova a Genova. Vincenzo Gonzaga, con diversi personaggi della sua corte, è ospite di eminenti personaggi dell’aristocrazia genovese nel sobborgo di ville di Sampierdarena: alcuni di quei gentiluomini e di quelle dame che lo intrattenevano in divertimenti e “conversazioni”, vengono ritratti in quegli stessi anni da Rubens o sono committenti di sue opere. Al Duca, proprio in quelle giornate d’estate, vennero offerti spettacoli, banchetti, occasioni di divertimento. Le cronache ricordano uno spettacolo “con intervento di belle ninfe” dinnanzi alla grotta di villa Pavese, da pochi anni realizzata e utilizzata da Rubens come “setting” per il ritratto di Maria Doria proprietaria, con il marito Camillo Pavese, di quel luogo di delizie.

Si tratta di una costruzione che racchiude i caratteri più salienti di una tipologia costruttiva portata a Genova da Galeazzo Alessi a metà del Cinquecento e che troverà nella Repubblica uno sviluppo particolarmente felice facendo della città uno dei centri più vivaci in questa moda diffusa in tutta Europa come indicano le fonti e le testimonianze dei viaggiatori coevi.


Grotta Pavese

Fortunosamente sopravvissuta alle profonde trasformazioni subite dal tessuto urbano circostante, la grotta, realizzata intorno al 1594, in occasione delle nozze Doria -Pavese, è inserita in una struttura terrazzata che delimitava il lato nord del giardino all’italiana. ll prospetto a tre fornici, intervallati da ulteriori aperture, in pietra di Finale, è scandito dalla presenza di cariatidi intagliate nella stessa pietra tenera, e ornato da protomi maschili e femminili e da festoni di frutti in marmo. 

Grotta Pavese

Il fornice centrale dà accesso a un atrio e alla parte centrale della struttura di pianta ottagona coperta da cupola: è all’interno che si rivela con la massima ricchezza il carattere di questi manufatti con le pareti interamente coperte da un mosaico polimaterico in frammenti di coralli, cristalli, maioliche, tessere in pasta vitrea, ciottoli e conchiglie. La composizione, tecnicamente raffinatissima, genera ornati e figure in una metamorfosi continua di forme. Una trasformazione che muove dalla “parte selvaggia”: totalmente ricoperta da stalattiti e stalagmiti di grandi dimensioni, percorsa da un anello di acque, “l’Oceano”, circonda la parte centrale formando antri in cui erano collocate figure di mostri sormontati da gruppi plastici perduti. Questa riproposizione di una natura primigenia si accorda con un graduato passaggio alla parte decorata a ornati geometrici e fitomorfi attraverso concrezioni calcaree più minute.

Grotta Pavese
Grotta Pavese
Grotta Pavese
Grotta Pavese

L’abbondanza di figurazioni, sempre realizzate in mosaico polimaterico, caratterizza la modalità decorativa genovese: così sulla volta dell’atrio le Horai accolgono il visitatore insieme alle raffigurazioni dei quattro elementi, a sottolineare questo microcosmo in divenire dedicato ai due sposi. Sulla cupola, al di sopra della rappresentazione di luoghi emblematici di Genova e Savona, le città di origine delle due famiglie, si susseguono, senza soluzione di continuità episodi delle Metamorfosi di Ovidio che hanno nell’elemento acqueo l’elemento unificante.

Grotta Pavese
Grotta Pavese
Grotta Pavese
Grotta Pavese

A sottolineare una continua metafora, acqua e figure del mito sono realizzate con minute composizioni di conchiglie di diverse forme e ciottoli, mentre lo sfondo del cielo riverbera la lucentezza delle tessere in maiolica. I pilastri su cui poggia la cupola sono ornati, sulla superficie volta all’interno, da erme a rilievo, mentre gli altri lati presentano un decoro geometrico in cui si rende particolarmente evidente il mosaico in tessere di pasta vitrea. Le aperture arcate, rette dai pilastri, aprono lo sguardo del visitatore verso la parte selvaggia delle stalattiti e delle stalagmiti in uno spettacolo che doveva essere accompagnato da giochi e da diaframmi d’acqua in caduta come mostrano ancora le canalizzazioni in piombo. Infine, il pavimento era costituito da un minutissimo mosaico in ciottoli.

Grotta Pavese Grotta Pavese
Grotta Pavese
Grotta Pavese
Grotta Pavese

Grotta Doria

Come afferma il Vasari, che la cita trattando della vita e dell’opera di Galeazzo Alessi, la grotta era stata in origine proprietà e frutto della committenza, alla metà del Cinquecento, di Sebastiano Lercaro, uomo d’armi legato, per alleanze famigliari e per scelte politiche, ai Doria, che peraltro acquisirono la grotta agli inizi del Seicento con l’erede di Andrea Doria, suo nipote Giovanni Andrea. Furono di nuovo i Doria a riacquisire la proprietà dell’immobile, dopo che negli anni Ottanta del Novecento, era stato riportato all’attenzione della critica da chi scrive, sottraendola così a decenni di oblio. Totalmente deprivata del contesto di giardino, sottomessa a edifici successivi, la grotta aveva subito le ingiurie dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale, fino a perdersi nella memoria tra anonimi palazzi che avevano occupato la zona negli anni Sessanta e Settanta del Novecento.

Grotta Daria
Grotta Doria
Grotta Doria

Si tratta di quella che abbiamo definito la “madre” di tutte le grotte genovesi: l’Alessi introduce con questo manufatto il modello della grotta di matrice antiquariale, con pianta ottagona, coperta da una cupola, come tanti edifici dell’antico ritrovati o ben noti in quegli anni. Anche la decorazione in mosaici polimaterici viene introdotta da questo primo esempio. Si rivela quindi “una maniera di fare le fonti” che imposta con singolare soluzione il rapporto tra architettura ed elemento decorativo antropomorfo.

Ad eccezione del pavimento in raffinato commesso marmoreo dal disegno geometrico, tutte le superfici dell’edificio presentano una fitta concrezione polimaterica che ricopre le partiture architettoniche e i motivi figurati plasmati in malta a rilievo sulla muratura di base in mattoni. Tessere ovali di maiolica in gradazione da azzurro a blu e da verdino a verde mare vengono usate in particolare per campire i fondi, mentre minuscoli ciottoli di spiaggia gialli, bianchi e neri costituiscono la cromia delle figure (incarnati, vesti, ecc.) e i particolari più minuti della decorazione. Otto telamoni scandiscono le pareti, un “ordine statuario” a figure maschili dalle espressioni forzate, il busto coperto da una lorica, un canestro di frutti in capo.  

Grotta Doria
Grotta Doria
Grotta Doria

Raffigurazioni classicheggianti di dei fluviali, sempre in mosaico polimaterico, sono ancora conservate in due delle pareti non aperte in nicchie, mentre uno sfondo paesistico doveva caratterizzare la decorazione dei due arconi più vicini all’ingresso.  Sulla cupola, negli spicchi, otto scene con figure di grandi dimensioni rappresentano Polifemo su una roccia, Galatea sulla conchiglia trainata da delfini, Europa rapita da Giove sotto forma di toro, Nettuno e i cavalli marini, Perseo che uccide il mostro marino che insidia Andromeda, Peleo e Teti, Nesso che rapisce e infine Arione. Tutte le scene sono rappresentate in mosaico polimaterico secondo la tecnica citata dal Vasari: “Fatta di sotto l’ossatura delle figure e coperta di calcina o di stucco, si ricuopre al di fuori a guisa di mosaico”.

Gli spicchi che vanno rastremandosi verso l’oculo centrale sono conclusi da otto mascheroni di diversi colori, raffiguranti i venti. Motivi decorativi delle cornici sono singolari “rose” di conchiglie, insieme a particolari raffinatezze antiquariali, come i sedici medaglioni alla maniera di cammei con profili maschili e femminili e teste di satiri nei costoloni che segnano la volta, inseriti in raffinate fasce con minute decorazioni a nastro e a motivi fitomorfi di candelabra.

Grotta Daria
Grotta Doria
Grotta Doria
Grotta Doria
Grotta Doria
Grotta Doria
Grotta Doria

Grotta Pallavicino

Grotta Pallavicino

Il modello proposto dall’Alessi in fonte Lercaro-Doria venne riproposto nella villa di Tobia Pallavicino, un aristocratico di grandi possibilità economiche, monopolista dell’allume, che realizza la sua residenza di villa aggiornata sugli esempi “alla Romana”. L’intonazione generale, con le analoghe dimensioni, la scansione icnografica, con la successione atrio-vano centrale, la scelta per la decorazione polimaterica, segnalano la coerenza tra grotta Pallavicino e quella Lercaro Doria. Accanto a analogie le due realizzazioni mostrano anche significativi scostamenti che sembrano far pensare a un intervento di un altro protagonista nella progettazione rispetto all’Alessi, forse Giovanni Battista Castello il Bergamasco, artista poliedrico protetto del committente Tobia Pallavicino.

Grotta Pallavicino
Grotta Pallavicino
Grotta Pallavicino

Nell’aula centrale la pianta ottagona è sostituita da una soluzione ellittica e, pur nella fedeltà all’idea di scandire lo spazio con le figure di termini, la dimensione quasi brutale di quelli del prototipo alessiano, viene moderata nella scelta di introdurre accanto a quattro erme a mosaico polimaterico altrettante finemente scolpite in marmo rosa di Verona. Ma è tutta l’intonazione a essere moderata: si nota come la presenza delle concrezioni calcaree e delle stalattiti sia imprigionata e racchiusa in cornici. Forse l’intervento e la sensibilità pittorica del Bergamasco incidono sulla scelta delle proporzioni delle figure inserite nei paesaggi negli spicchi maggiori della volta sopra l’ingresso e sopra la fonte rustica che lo fronteggia, sia dei gruppi di tritoni e nereidi nelle sei lunette.

Grotta Pallavicino
Grotta Pallavicino
Grotta Pallavicino

Nel vano centrale, l’ambientazione in un territorio segnato dalle presenze di monumenti dell’antichità ricavati dalle illustrazioni del Serlio trova, al culmine dei costoloni della volta, ornati da fantasiosi motivi a candelabra, un ovato ellittico che finge un’apertura verso il cielo illusivamente trattato con un cerchio di nubi. Tre fasce circondano l’ovato, la prima con cartigli che intervallano le rappresentazioni di quattro draghi, la seconda con motivi decorativi, la terza con l’anello dello zodiaco. Un itinerario quindi, quello proposto, che unisce forse l’evocazione di un antico in cui convivono satiri e ninfe a una rappresentazione cosmogonica.

Grotta Pallavicino
Grotta Pallavicino
Grotta Pallavicino

Gli autori del progetto

La collaborazione con Marco Stucchi, l’eccezionale documentazione fotografica a 360°, condotta in strettissima intesa, ha scandito una revisione completa del patrimonio delle grotte genovesi estesa anche ad altri soggetti oltre a quelli qui presenti. L’operazione oltre a documentare l’esistente e offrire alla ricerca nuove possibilità attraverso l’altissima definizione delle immagini, sottolinea la necessità di un intervento di conservazione ormai indilazionabile. L’iniziativa espositiva è stata volutamente impostata, con l’apporto fondamentale dei video e delle ricostruzioni 3D di Elena Bastianini, come una narrazione che vuole coinvolgere il pubblico offrendo ai visitatori la possibilità di conoscere un particolarissimo momento della cultura abitativa genovese negli anni della presenza di Rubens. Gli oggetti e le opere esposte si pongono continuamente in relazione con i temi presentati nelle proiezioni e a supporto delle ipotesi ricostruttive.

La mostra organizzata da Palazzo della Meridiana si inserisce pienamente nel network delle iniziative rubensiane promosse dalla città nel quarto centenario dell’edizione del volume dedicato dall’artista fiammingo ai palazzi di Genova.


La Mostra a Palazzo della Meridiana

L’Associazione Amici di Palazzo della Meridiana organizza una nuova mostra "Grotte e Giardini ai tempi di Rubens. "Delizie" e "meraviglia" a Genova all’alba del Seicento" a cura di Lauro Magnani, in programma dal 14 ottobre 2022 al 22 gennaio 2023.

l visitatori sono introdotti nella mostra prima sala della mostra attraverso le immagini di Rubens ed avrà la possibilità di penetrare, attraverso proiezioni che si riveleranno vere esperienze immersive, all’interno di quegli spazi incantati.
Un approccio innovativo pensato per permettere ai visitatori di percorrere un itinerario difficilmente realizzabile dal vero per lo stato attuale delle grotte, difficilmente visitabili, spesso in precarie condizioni di conservazione, divenute frammentarie presenze nel tessuto cittadino che ha inglobato questi luoghi.
I visitatori, insieme all’esperienza “emotiva” delle proiezioni, saranno condotti a considerare i caratteri architettonici e decorativi di quei luoghi. Dipinti e incisioni tratte da testi dal XVII al XIX secolo, consentiranno di contestualizzare le grotte nei giardini che costituivano un’immagine caratterizzante del paesaggio genovese.

Infine, in uscita del percorso espositivo, il pubblico, attraverso la suggestione di immagini e di testi, sarà condotto a esercitare la propria fantasia nella  ricostruzione di una struttura oggi perduta, realizzata proprio nello stesso Palazzo Grimaldi della Meridiana che ospita la mostra: si trattava di una  grotta con sculture e automi estremamente famosa negli anni di Rubens, visitata nel 1599 da Margherita d’Austria e dagli Arciduchi Alberto e Isabella Clara Eugenia d’Asburgo, infanta di Spagna, governatrice delle Fiandre spagnole. L’invenzione manieristica è ricostruibile attraverso i disegni e le descrizioni lasciate da Heinrich Schickhardt e da Joseph Furttenbach ammirati testimoni, nello stesso 1599 e nel 1621, di quella meraviglia ancora delineata in un inventario del 1675 oltre che dai rilievi pubblicati da Pietro Paolo Rubens nelle tavole dei suoi Palazzi moderni di Genova.

Grotte genovesi
Grotte genovesi
Grotte genovesi